MESTRE. Manca mezzo miliardo di euro nelle esportazioni manifatturiere venete del 1° trim. 2020 (rispetto al 2019) attestatosi a 14miliardi e 667 milioni. Una contrazione prevista anche se, con il -3,3%, risulta purtroppo superiore a quella media del Paese fermatasi ad un -2%, e peggiore di quanto fatto registrare dai più stretti competitors: Friuli (-1,4%), Emila Romagna (-2,2%) e Lombardia (-3%).
Anche guardando ai Paesi di destinazione si trovano molte conferme delle attese e qualche positiva sorpresa come la tenuta della Germania (+1% rispetto allo stesso periodo del 2019) che è comunque il nostro più importante sbocco (vale il 14,1% del totale export manifatturiero regionale) e la crescita degli Stati Uniti +8,7% spiegabile dal fatto che sono entrati in lockdown un mese dopo l’Europa. Calano invece Spagna -16,8% e Francia -6,8%, per quanto riguarda l’UE27 post brexit. Nei paesi extra UE27 cala molto l’Inghilterra -15,8% dovuto anche alla uscita dal mercato comune e la Cina -17% spiegata dalla pandemia iniziata a gennaio.
A pagare le prime conseguenze del Covid-19 sono in particolar modo la metalmeccanica -31,4% altri mezzi di trasporto, -16,9% gli autoveicoli rimorchi etc, macchinari e apparecchiature nca -6,1%. Calano anche i mobili del -6,1%. Male il tessile -7,8% e abbigliamento – 7,3%. Tiene la pelle -0,7% e crescono i prodotti elettronici +7,4%. Esplodono ovviamente i prodotti farmaceutici +183,6% anche se hanno una quota solo del 2,4% rispetto al totale. Bene anche alimenti +9,3% e bevande +7,7%.
“Questi primi segnali di rallentamento -afferma Agostino Bonomo Presidente Confartigianato Imprese Veneto– colgono solo l’inizio degli effetti della pandemia che ha avuto il suo apice tra aprile e maggio. Il crollo si vedrà nei dati relativi al 2 trimestre 2020.
“L’economia segue però dei cicli quindi, dalla lettura del passato, potremmo cogliere alcuni spunti interessanti per progettare le sfide future. Nel caso dell’export veneto mi sembra appropriato analizzare velocemente quanto avvenuto nei 12 anni che dividono il crollo post Lehman Brothers da questo legato al Covid-19. Il 2008 si chiuse molto bene per la vendita delle merci manifatturiere venete nel Mondo, con oltre 48 miliardi e mezzo di valore che, nel 2009, crollò del -21,6% a poco più di 38 miliardi. Allora bastarono meno di due anni alle nostre imprese per recuperare quanto perduto e iniziare, dal 2011, una rincorsa che ci ha portato nel 2019 a toccare quota 62 miliardi e mezzo: +28,6% rispetto al 2008 e +64,1% rispetto al 2009.
“Altro elemento di riflessione sta nella analisi di come, in questo rally, si siano comportate le vendite rispetto ai vari macro settori della manifattura regionale. Nei 12 anni la moda, l’arredo, l’alimentare, la meccanica e le apparecchiature elettroniche, la chimica ed i prodotti farmaceutici sono cresciuti tutti anche se con alcune differenze.
“La richiesta di made in Veneto dal Mondo non si è quindi focalizzata su un solo settore ma è aumentata per tutti, con alcune eccellenze. E’ il caso di Alimentari e Bevande, quasi raddoppiato come “peso” sul totale export, passato dal 6% al 10%, i prodotti farmaceutici anch’essi quasi raddoppiati come importanza cresciuti dallo 0,7% al 1,3% e la chimica gomma plastica cresciuta dal 6.3% al 7.3%. Tra chi ha perso, in termini di quota regionale, troviamo il manifatturiero tradizionale: la Moda, scesa dal 18,7% al 17,1%, le apparecchiature elettroniche dal 10,5 al 9.5% ed i metalli e minerali calati dal 15,8% al 13%”.
“Possiamo quindi affermare, con ragionevole certezza -prosegue-, che il sistema economico manifatturiero veneto fatto di medie e piccole imprese fortemente specializzate ed orientate ad una qualità “on demand” è attrezzato per affrontare anche questa nuova scalata. Il Veneto è centrale nell’export dell’Italia e l’export è centrale per il Veneto (la sua incidenza sul Pil è del 39% rispetto al 26% dell’Italia), a tal punto che deve essere considerato un tema strategico nazionale.
“L’Europa è il nostro principale partner ma è l’intero continente ad essere stato coinvolto dal lockdown e dunque l’impatto sarà generale. Cosa fare quindi per agevolare un secondo andamento a V? C’è un tema di complessità (frontiera tecnologica): bisogna avere aziende di medie dimensione che crescono e imprese piccole di filiera che concorrono allo sviluppo di prodotto, al presidio dei mercati, all’innovazione tecnologica ma anche organizzativa. All’interno delle filiere va rafforzata l’esclusività. Nel Made in Italy non si compete con logiche di ribasso ma investendo su qualità e sul potenziamento delle nostre vocazioni.
“La robotizzazione potrebbe ridefinire le logiche di vantaggio localizzativo, forse anche più del reshoring inteso meramente come fatto geografico. Bisogna poi investire sui Paesi dove siamo poco presenti recuperando i gap di presenza nei mercati asiatici e nel continente africano, che insieme, nel prossimo decennio, avranno quasi un miliardo di abitanti in più”.
“Serviranno -conclude Bonomo- tutti i supporti possibili. A partire dal miliardo e mezzo messo su Patto per l’Export. Un documento programmatico che indica una ambiziosa strategia per l’internazionalizzazione del nostro sistema produttivo, e si articola in sei pilastri: comunicazione, promozione integrata, formazione/informazione, sistema fieristico, commercio digitale e finanza agevolata”.
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